In queste ultime settimane si parla, sempre più spesso, della Libia con riferimento ai continui disordini creati dai terroristi dell’Isis che, da quella che venne definita la “quarta sponda” minacciano l’Italia.
A questa Terra, così legata a noi, Mario Monicelli ha dedicato il suo ultimo film passato, purtroppo, quasi inosservato nelle sale cinematografiche italiane.
Il film in questione è Le rose del deserto, uscito nel 2006, che vede nel cast attori del calibro di Michele Placido, nel ruolo di frate Simeone, Alessandro Haber in quello del triste maggiore Strucchi mentre Giorgio Pasotti è il tenente Salvi, appassionato di fotografia.
La storia narra di una sezione sanitaria del regio esercito italiano che, nell’estate del 1940, si accampa a Sorman, un’oasi del deserto libico da dove gli echi della guerra giungono lontani e distanti; i nostri protagonisti, più che addestrarsi ad affrontare situazioni di pericolo che da lì a poco li avrebbero travolti, aiutano Padre Simeone a prestare soccorso alla popolazione locale mentre qui li dovrebbe comandare, il maggiore Strucchi, passa il tempo a scrivere lettere struggenti alla giovane moglie lasciata in Patria.
La guerra in Africa settentrionale arriva anche a Sorman: la controffensiva inglese rompe le linee delle forze dell’Asse e l’oasi viene invasa, prima, dai soldati in fuga e, poi, dai feriti che cercano di scappare dagli Alleati.
Nonostante mi sia piaciuta la storia, liberamente ispirata al romanzo Il deserto della Libia di Mario Tobino e al brano Il soldato Sanna tratto dall’opera La guerra in Albania, e l’ambientazione non così posso scrivere dell’interpretazione di alcuni attori.
Michele Placido, che fa la parte di frate Simeone, l’ho trovato un po’ troppo fuori le righe mentre Giorgio Pasotti, nel ruolo del tenente Salvi, ha dato al suo personaggio un’impronta stereotipata dell’italiano che, nonostante tutto, è sempre e comunque una brava persona.
Le rose del deserto non può essere definito un capolavoro ma Monicelli ha dato anche a questo film il suo tocco poiché il regista, che all’epoca aveva 90 anni, ha saputo raccontare con leggerezza ed umorismo un momento tragico e pesante della nostra storia.
Al film assegno 2 stelle su 5: bella la storia, l’ambientazione, un po’ meno l’interpretazione ed il montaggio; sinceramente se Le rose del deserto fosse stato girato con registi ed attori stranieri penso proprio che avrebbe avuto molto più successo.