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La vertigine di Riondino al Sala Fontana - Art Spettacoli
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La vertigine di Riondino al Sala Fontana

LA-VERTIGINE-DEL-DRAGO

Si presenta con tutti i sacri crismi dello spettacolo da andare a vedere, questo “La vertigini del drago”, in scena fino a domenica 23 febbraio al Teatro Sala Fontana: un attore giovane e già noto al pubblico per il suo ruolo nella serie televisiva “Il giovane Montalbano” – Michele Riondino che qui cura anche la regia – ; un’attrice e drammaturga altrettanto giovane – se non di più –: quell’ Alessandra Mortelliti, che di Camilleri è la nipote; e la partecipazione al Festival di Spoleto 2012.

Di più: un testo che approccia gli stereotipi della violenza urbana, dei gruppi organizzati ma allo sbando – naziskin -, dei facili clichet razzisti e delle irrazionali fobie nei confronti del ‘diverso’: semplicemente in quanto tale. E poi anche una storia che racconta l’ umana parabola di un passaggio: dalla ferocia di un aguzzino alla sua trasformazione in un essere capace di compassione. Questo, il viaggio iniziatico di Francesco, uno skinhead suo malgrado costretto a prendere in ostaggio una giovane rom, durante il tentativo di dar fuoco al campo; e che, rimasto ferito, si barrica con lei nel garage in cui vive, in attesa di ordini dall’alto… Una storia facile – probabilmente qualcuno l’ha già scritta – e al tempo stesso difficile: dove è solo la densità della drammaturgia a far la differenza. E, personalmente, credo che questa sia un po’ mancata…

Con un’idea così, sarebbe potuto venir fuori un pezzo alla Brecht! E, invece, quel a cui si assiste è un rimbalzo di battute: volutamente crude – in romanesco: cosa azzeccata, dato che il riferimento è proprio alla capitale – ad impietosamente squarciare un velo su una realtà violenta, furiosa, becera, reattiva, ma forse solo tratteggiata, in i dialoghi smozzicati, che solo a tratti lasciano affiorare frammenti di trama. Se sanno anche toccare le corde dell’ironia e strappare una risata, non affondano, però, dentro ai persanaggi, che rischiano così di esaurirsi in sterili clichet: il ragazzo di borgata che si fa tirare in mezzo dalla band… la ragazza rom, brutta, zoppa – e pure epilettica! -, che nessuno ha voluto e s’è trovata venduta in moglie ad un vecchio vedovo padre-padrone. Poi si cerca di dar loro un tono: così se per Mariana s’inventa una passione bambina per la danza, infranta dalla caduta da un muretto durante il gioco infantile, che l’ha resa storpia – che ci vien tirata fuori a spizzichi e bocconi: annegata in tutto quel procrastinare di un dire inutilmente urticante ed inconcludente – ; la storia di Francesco, invece, ci vien rivelata – quasi alla fine – in quell’unica efficace immagine visivo-narrativa – voci fuori scena – nella vertigine da sostanza stupefacente. Torna in mente il verso di “Princesa” di De André: “Una vertigine di anestesia…”,in quella dose sparatasi in vena, dopo aver deciso di lasciarla scappare; ma, qui, la vertigine è quella di un drago: forse solo un modo per definire un giovane che vincente non lo è – né tale si sente –, ma che da tale in qualche modo si comporta nel momento in cui riesce a strapparsi di dosso tutti quei condizionamenti, che lo imprigionavano nei lacci del branco.

Buona la regia: pulita e fatta mi movimenti scenici che scaturiscono da reali pulsioni dei protagonisti, con poche concessioni all’onirico, che pure – quando arriva – scende come una carezza, senza snaturare. Belle anche le luci: ed i bui/i ‘rossi’ nelle scene più allusive.

Evocativa anche la scena d’inizio: quella saracinesca che gira su se stessa ed ogni volta ci mostra un differente membro di questa società: ognuno cristallizzato in un prototipo, ognuno come intrappolato nel sembrar un manichino, piuttosto che nell’essere. Nel resto del racconto forse un po’ troppo splash di sangue: specie nella scena del generale delle SS… Ma due attori senz’altro all’alteza di personaggi tanto estremi.

Se solo si fosse osato di più…

Invece forse si è puntato troppo a far irrompere il tuono dell’accadimento su una piattezza narrativa, che, oltre che sfiancare il pubblico per l’inconcludenza e mancanza di senso, non l’ha sostenuto, accompagnandolo nella crescita del clinamen drammaturgico.

platealmente.it






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