Milano, Teatro Franco Parenti
11 | 19 marzo
Foyer Basso
SONO SOLTANTO ANIMALI
di Luciano Colavero e Federico Olivetti
regia Luciano Colavero
con Antonio Tintis
“Sono soltanto animali” è una polifonia per voce sola, composta da Luciano Colavero (anche regista) e da Federico Olivetti per indagare l’uomo di fronte alla responsabilità delle proprie azioni.
Lo spettacolo, che trae il titolo da una frase del filosofo tedesco Theodor Adorno, va oltre i concetti tradizionalmente legati ad Auschwitz per cercare, attraverso un linguaggio di riflessione e confronto che parli direttamente a noi, di trasformare la memoria storica in uno strumento di orientamento concreto dell’azione nel presente.
In scena, solo, Antonio Tintis anima i frammenti in cui sono spezzate le sei diverse voci di cui si compone il testo e si muove in una scenografia – pensata e realizzata da Alberto Favretto – che si divide in due spazi contrapposti: a destra il Presente, il Mondo di Oggi, nel quale vive l’attore, immerso in uno spazio vuoto con al centro una sedia bianca; a sinistra il Passato, il Mondo di Ieri, l’Orrore che l’attore non ha vissuto, che l’attore non può aver vissuto direttamente.
Uno spazio, quest’ultimo, pieno di elementi scenici in ferro, legno, acqua e gesso, come scheletri sopravvissuti alla Storia, con i quali l’attore entra raramente in rapporto, ma sempre lasciando il segno, la traccia visibile di una vicinanza tra il Presente e il Passato che non possiamo negare sebbene l’attore, per la maggior parte del tempo, rimanga distante dagli accadimenti e li guardi, li raccolga, li influenzi solo da lontano. Il lavoro è partito dalle testimonianze dei sopravvissuti, dai diari delle vittime, dai documenti dei processi, dalle dichiarazioni dei coman¬danti, dalle interviste rilasciate da chi non si è mosso dal ruolo di Spettatore. Questi materiali sono stati da noi rielaborati liberamente, per metterli in comunicazione con il nostro presente, per fare in modo che le schegge di Storia da noi raccolte potes¬sero aiutarci a trovare una risposta alle domande che ci pone ogni giorno la realtà, deformata e parziale, che riceviamo dai media e dai nostri stessi occhi. Lavorando in questo modo, prendendo progressivamente coscienza della distanza e della prossi¬mità tra il presente e il passato, ci siamo resi conto di quanto avesse ragione Bauman affermando che l’Olocausto non è stato altro che un raro, ma tuttavia significativo e affidabile, test delle possibilità occulte insite nella società moderna. Auschwitz non è stata un’eccezione, prendiamone atto.
Luciano Colavero