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“DARLING” ricci/forte, dal 2 al 7 febbraio

1452857701_ricciforte DARLING ph. Piero Tauro 38

MILANO – Piccolo Teatro Studio Melato (via Rivoli 6 – M2 Lanza) dal 2 al 7 febbraio 2016
DARLING (ipotesi per un’Orestea)
drammaturgia ricci/forte
con Anna Gualdo, Giuseppe Sartori, Piersten Leirom, Gabriel Da Costa
movimenti Marco Angelilli

elementi scenici Francesco Ghisu
costumi Gianluca Falaschi

suono Thomas Giorgi
assistente alla regia Liliana Laera
regia Stefano Ricci
produzione Romaeuropa Festival e Snaporazverein
in co-produzione con Théâtre MC93 Bobigny/Festival Standard Ideal,

CSS Teatro stabile di innovazione del FVG, Festival delle Colline Torinesi

I dioscuri della scena italiana tornano al Piccolo con DARLING (ipotesi per un’Orestea), al Teatro Studio dal 2 a 7 febbraio, nuovo atto della cosmogonia disegnata da ricci/forte e come sempre attraversata dal corto-circuito tra presente e mito.

Partendo dall’Orestea di Eschilo, in cui si racconta quanto accade dopo la fine della guerra di Troia, si indaga sul “dopo la catastrofe”, ovvero su cosa accade quando tutto è smembrato, perduto, devastato. Ma forse, sotto le macerie, l’uomo può rintracciare una fibra più autentica.

Darling, il primo balbettio nella nuova polis. Darling, l’alfabetizzazione di un sentimento. Darling, il perimetro di un terreno emotivo da arare. Darling, il singulto ctonio della tragedia eschilea. Darling, lo tsunami che cancella l’ordine delle cose ripristinando il culto orfico dei morti. Darling, un container in cui immagazzinare simboli e sensi, umani e divini, che riesplodono in attesa del prossimo imbarco.

In un aeroporto della mente, valvola liminale ancora attiva, l’accampamento profughi dopo la grande onda ripercorre i brividi di un passato attraverso le impronte lasciate sulle cose strappate all’acqua. Senza domicilio etico, attendiamo la fiamma come scolte in attesa del ritorno del padre guerriero. In questa improvvida fase di transizione si celebra un rito di passaggio all’inverso, come un rigurgitare a fiotti animaleschi e recuperando – dopo il crollo dei panorami ordinati – il tanfo di viscere inondate di sangue giustiziere.

Come in un’istantanea di Gregory Crewdson, la realtà apparentemente rassicurante viene disturbata dall’irruzione della natura, che attesta il suo predominio e vanifica ogni tentativo di “domarla” attraverso la dike di stato, una Giustizia sempre più ad uso e consumo delle classi dirigenti. Una realtà fittizia che si mostra con tutta la forza di persuasione di una realtà autentica. Un falso che però, a differenza di una copia, si sovrappone al reale perfezionando l’originale attraverso nuovi rituali: potenti atti sociali che proprio nel momento in cui l’ordine viene alterato da eventi naturali ricrea un nuovo stato, differente da quello precedente. Vanificato il tentativo di crearne uno ideale – Hannah Arendt racconta bene quanta inconsapevolezza ci sia stata in questa degenerazione autodistruttiva di regolamentazione di un gruppo sociale – percepiamo di nuovo il nostro polso e ammaliante è il richiamo di un proprio individuale, barbarico, senso etico.

Gli orrori dell’Orestea, indipendentemente dalla domanda se siano o meno così lontani dai simboli che ci vivono addosso, possono restituirci attraverso l’incubo una nuova piattaforma solida sul quale poggiare le speranze di un futuro? O sarà l’ennesimo padiglione ospedaliero in cui accetteremo la punizione del bromuro mitriale pur di seguire la striscia continua dell’utopica democrazia che ci viene indicata? Talpe da giardino, scardiniamo le aiuole ordinate cercando un vestito che ci faccia sembrare abitanti civilizzati di un fraudolento mondo perfetto.

In un mondo fatto di algida rappresentazione del Sé, di fredda razionalità, il vecchio sistema di valori, pervaso di fede nei miracoli e di magia, sembra addirittura psicotico. Ma la sua logica paradossale supera tutti i postulati di realtà, come nell’inconscio di un sogno.

Eschilo e ricci/forte, genesi e ipercontemporaneo, Artaud e l’hard rock dei Led Zeppelin, sovrapposizioni intertestuali sonore e fisiche, tutte tese a scansionare una lisergia che – proprio in un momento storico come questo in cui una società si determina attraverso la delimitazione dell’Altro (assicurandosi così la propria identità) – serva da bussola per rintracciare traiettorie.

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Art Spettacoli

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