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Come pietra paziente

ComePietraPazienteAfghanistan: una giovane donna con due figlie piccole assiste il marito in coma, con un proiettile nel collo dopo uno scontro a fuoco con un commilitone. L’impossibilità da parte dell’uomo di comunicare diventa l’occasione per la moglie di cominciare a parlargli, arrivando a confessare segreti che mai, prima, avrebbe potuto svelare. Va detto subito che non si tratta di un film di grande valore: privo di particolari qualità visive, ha più di un difetto nella struttura come nella gestione della materia drammatica (una donna che parla per più di un’ora e mezza è degna di interesse, ma così com’è stata resa non regge tutta la durata del film). Tuttavia ne consigliamo la visione perché la posta in gioco è molto alta, non tanto artistica quanto (nel senso più ampio) culturale.

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Come pietra paziente ci mette di fronte la condizione delle donne afghane, una condizione che non conosciamo affatto ma che pensiamo di poter incasellare con facili stereotipi di natura etnica e religiosa. Uno dei meriti di Atiq Rahimi è proprio quello di abbattere alcuni cliché, mostrando le risorse di una donna che all’inizio pare inerme e ingenua, mentre invece non lo è. Il suo è un film che non si limita a fornire un ritratto di uomini e ambienti: al contrario, raccontando una storia in cui la reattività “salva” dalla miseria, ci mette in guardia da ogni forma di passività rassegnata. Non senza ricordarci, tramite il richiamo a una tradizione afghana, che tutti abbiamo bisogno di una “pietra paziente” a cui raccontare segreti e angosce: perché l’esigenza di esprimere ciò che si annida nell’interiorità è imprescindibile, se ci si vuole liberare da un giogo.

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